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Cibo, musica e paesaggistica: Gualtiero Marchesi, chef multitasking

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Lo chef Gualtiero Marchesi lo ripete spesso: per esaltare il gusto, occorre semplicità. Buone idee, materie prime e una certa sapienza fanno il piatto più ricco. Ma aggiungere ingredienti su ingredienti, magari cercando l’ultima novità del momento, o ancora degli accostamenti originali ma inconcludenti, può essere un problema per il palato. È una metafora che potrebbe calzare a pennello per le ultime novità circa una sua iniziativa molto importante a Varese, l’Accademia del Gusto, una sorta di scuola di formazione per grandi chef, che nel corso degli anni ha cambiato obiettivi e ora rischia di divenire un guazzabuglio o una maionese impazzita, per restare in campo culinario.

I fatti sono questi. Alcuni anni fa una famiglia di industriali donò una villa al Comune. Lo chef Marchesi tramite la sua Fondazione fece una proposta: realizzare una scuola di cucina di livello nazionale. Il Comune e la Regione trovarono i soldi e il posto. La convenzione è stata firmata nel 2016 dalla giunta di centrodestra del sindaco Attilio Fontana. L’accordo assegna la villa per diversi anni alla Fondazione Marchesi, che in cambio dovrà ristrutturarla e organizzare le attività culturali. Marchesi ha garantito 500 mila euro, Regione e Comune circa 6,5 milioni. Da qui in poi, cominciano i guai. La Fondazione decide di occuparsi anche di musica e cerca di realizzare un piccolo auditorium musicale, ma la Soprintendenza ai beni culturali lo vieta Poi il caso politico: nel 2016 la giunta è cambiata, è arrivato il centrosinistra. In maggioranza c’è una lista civica, Varese 2.0, che esprime il vicesindaco Daniele Zanzi, agronomo, a capo di un movimento locale che lotta contro lo stravolgimento dei parchi cittadini. Il suo no a Marchesi in campagna elettorale era stato netto. Oggi è un po’ più sfumato, ma vuole che a Villa Mylius si faccia una Accademia del Paesaggio. Per salvare capra e cavoli il sindaco Davide Galimberti chiede a Marchesi di aggiungere alle specialità della futura villa Mylius anche quella legata alle discipline paesaggistiche. Risultato: la Fondazione sembra disponibile, anche se cucinare, suonare e insegnare a disegnare, non sono esattamente le stesse cose.

Problemi finiti? Non proprio. Per far da mangiare, bisognerebbe realizzare delle cucine dentro la vecchia villa e nella giunta non tutti sono d’accordo: il vicesindaco Zanzi è contrario e non vuole che siano costruite strutture che stravolgano l’antica dimora.

A conti fatti il rischio è che al grande chef, e alla sua fondazione, venga assegnata una villa comunale ma con le idee originarie stravolte. Si è partiti con l’intuizione di realizzare una grande accademia degli chef e si sta finendo invece con il divieto di cuocere anche un solo uovo fritto. Resta da capire che posizione prenderà, nelle prossime settimane, la Regione Lombardia. Il governatore Roberto Maroni era stato uno dei grandi sponsor di Gualtiero Marchesi, l’unico nome di richiamo internazionale che la città è riuscita a coinvolgere negli ultimi anni, oltre alla presenza del museo di arte contemporanea del Fai a Villa Panza (in cui espongono anche artisti americani). L’attuale amministrazione sembra entrata in una pausa di riflessione. E dire che il progetto fu annunciato nel 2011: avrebbe dovuto diventare una sorta di Parma bis, una seconda eccellenza all’ombra della cucina italiana, ma il piatto si sta raffreddando.

Fonte Corriere.it

Il Crepuscolo degli chef

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È uscito in libreria il nuovo libro di Davide Paolini “Il Crepuscolo degli chef”, edito da Longanesi. Attraverso una lucida e approfondita analisi l’autore mette in evidenza la macroscopica schizofrenia tra realtà fattuale (calo dei consumi alimentari, chiusura di negozi, drastica riduzione dei locali) e realtà virtuale (sovraesposizione mediatica del cibo: web, tv, libri, magazine, blog), da cui emerge un nuovo rapporto, mai riscontrato nel passato, tra gli italiani e la cucina.

Dalla spettacolarizzazione televisiva del cibo al food fashion, dallo chef star system al mito del chilometro zero, fino all’eterna lotta tra carnivori e vegani. E poi: 13 milioni di foto su Instagram, 25.000 blog, 1.000 siti internet che raggiungono ogni mese oltre 35 milioni di persone. La cucina è oggi un tema sempre più al centro dell’attenzione mediatica.
Secondo Davide Paolini le trasmissioni televisive hanno moltiplicato a dismisura un vero e proprio fenomeno di voyeurismo gastronomico, ma a un tale clamore mediatico non corrisponde un innalzamento dei consumi, basti pensare che nell’ultimo anno in Italia hanno chiuso i battenti 10.000 ristoranti. Né corrisponde, per gran parte degli italiani, un reale approfondimento della cultura gastronomica.
Il cibo è diventato altro da ciò che era e rappresentava sino a ieri: ammicca dalle vetrine di negozi e librerie, appare a tutte le ore sugli schermi televisivi, pende dai cartelloni pubblicitari, naviga in rete. Il cibo sta diventando un’ossessione, ma, come ci racconta l’autore in questo libro impietoso e divertente, la realtà appare molto diversa. Non è vero che mangiamo di più e meglio, e quella che quotidianamente in tv viene spacciata come cultura del cibo spesso è solo uno spettacolo privo di qualità.

 

I piatti che non dovresti mai ordinare al ristorante

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Lo chef Anthony Bourdain, giudice di Top Chef USA, ha rivelato al Daily Mail i piatti che si dovrebbero evitare di ordinare al ristorante, anche nel migliore.

Ecco il “menù”:

  • Pesce il lunedì: la maggior parte dei ristoranti si rifornisce di pesce  i giovedì, che significa quattro o cinque giorni prima della vostra ordinazione
  • Frutti di mare: a meno che non siate in un ristorante specializzato in pesce o in riva al mare
  • Salsa olandese: un covo di batteri se non tenuta alla giusta temperatura
  • Qualsiasi piatto di pollo: tutti i cuochi sanno che è molto difficile rendere questa carne saporita senza intaccarne l’umidità
  • Carne ben cotta: gli chef vi rifileranno dei tagli, o meglio degli scarti, duri tenuti da parte solo per voi
  • Fuori menù: è un modo per far innervosire lo chef insieme alle sostituzioni. Il risultato sarà un piatto carico d’odio

Musica e cucina portano in alto il brand Italia

Laura Pausini

L’Oscar vinto da Ennio Morricone vale 97 milioni di euro e la voce di Laura Pausini ben 86 milioni. Questa la stima della Camera di Commercio di Monza e Brianza che ha analizzato la crescita del Paese grazie ai successi degli italiani all’estero. L’ente, grazie ad un algoritmo, ha quotato i nostri paladini dello spettacolo e della cucina e ha dato un valore all’apporto di ciascuno al “Brand Italia” (che in totale raggiunge i 2600 miliardi di euro).

I successi internazionali della Pausini, il premio consegnato a Morricone per le musiche del film “The Hateful Eight” di Tarantino si aggiungono alla grande considerazione di Giovanni Rana che vale 46 milioni e dello chef Massimo Bottura, 43 milioni.

Musica in cucina

Musica in cucina

Un crescente numero di recenti ricerche scientifiche sta dimostrando come la musica riesca a influenzare la percezione della gente del gusto, del sapore e della consistenza generale del cibo e dei cocktail.

Diversamente dall’idea trasmessa da un’inserzione pubblicitaria di qualche anno fa dell’AEG Electrolux per i suoi elettrodomestici da cucina, che aveva come slogan “La cucina silenziosa come una biblioteca”, le cucine, soprattutto quelle professionali, sono luoghi pieni di rumore – o almeno dovrebbero esserlo. Lo chef Zakary Pelaccio, fondatore dei ristoranti Fatty Crab e Fatty ‘Cue nel Nordamerica, scrive nel suo libro “Eat with your hands” (“Mangia con le mani”), “Invece di una cucina silenziosa, con la tipica vitalità di un’aula di giustizia, volete che la vostra cucina sia una festa? Allora mettete su un po’ di musica”… “Ogni cucina professionale che io abbia mai gestito e ogni cucina casalinga nella quale io abbia mai trascorso del tempo sono piene di musica. Se guardate meglio, noterete che tutti cucinano a ritmo. Tutti i bravi cuochi lavorano con un ritmo naturale – potete vederlo nel loro passo, sentirlo nel modo in cui affettano o battono il pestello. Quel ritmo è la sottile manifestazione di una connessione del cuoco con i suoi ingredienti. Allora, accendete la musica”.
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Menù per orchestra: l’incontro tra cibo e musica

Menù per orchestra

“Menù per orchestra” è un volume – pubblicato dall’editore svizzero Armando Dadò e distribuito in Italia da Hoepli – che riesce a svelare pienamente le analogie che intercorrono tra cibo e melodia o, meglio, tra chef e musicista.

La musicologa Anna Ciocca-Rossi, l’esperta di storia della gastronomia Marta Lenzi Repetto e il giornalista Giacomo Newlin hanno elaborato un’opera colma di illustrazioni, curiosità e aneddoti sull’espansione e sul cambiamento della musica a tavola.
La tradizione di accostare la melodia ai banchetti risale agli Egizi, per essere recuperata da Greci e Romani, potenziarsi dal Quattrocento e giungere ai giorni nostri. Si scopre inoltre che cuochi e concertisti lavorano idealmente alla stessa maniera con ingredienti e utensili da una parte e note e strumenti dall’altra al fine di creare la ricetta/composizione perfetta.
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Il rumore e il suo impatto sulla percezione del cibo e delle bevande

rumore e cibo

I ristoranti stanno diventando più rumorosi. Questo, almeno, è ciò che i critici gastronomici ci dicono e quanto evidenziato da un articolo pubblicato su Flavour. Secondo alcuni critici, altro non è che una scelta di diversi chef influenti di far ascoltare in sala la stessa musica che loro amano ascoltare in cucina. Altri vedono un ulteriore motivo collegato al tentativo dei ristoratori di incrementare i profitti. Come ad esempio all’Hard Rock Cafè, i cui fondatori si resero conto che mettendo musica ad alto volume e molto ritmata, i clienti abituali parlavano meno, consumavano di più e se ne andavano in fretta, una tecnica documentata dall’International Directory of Company Histories.

 

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